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Domenico Guaccero

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18

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Organico analitico: 4 flauti (2 in Do, uno in Fa, ottavino), 4 flicorni (soprano, contralto, basso, contrabbasso), 4 sassofoni (sopr., contr., 2 ten.), 4 trombe (una in Mib, 2 in Sib, una bassa) 2 percussionisti, vibrafono/xilofono, clavicembalo/pianoforte, violini, contrabbassi, coro a 5 voci miste, coro di voci bianche (totale 78 esecutori)

Elenco dei movimenti

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Note: Si fornisce l’incipit dal manoscritto autografo del Sestetto I, probabilmente il pannello strumentale destinato ad aprire il brano, anche se nello stato materiale attuale della fonte non è il primo a presentarsi.

Trascrizione: DA FARE

Luogo e data di composizione: [Roma], 1958 (o 1959) [?]

Note sulla genesi: Per la datazione del manoscritto, vedi scheda.

Prima esecuzione: non attestata

Note generali: Il vasto e impegnativo lavoro è molto più di un progetto (peraltro ben leggibile complessivamente dagli appunti): si tratta di un brano pressoché concluso nei suoi episodi-movimenti strumentali, e composto in buona percentuale (probabilmente con perdita di alcuni fogli) per uno degli episodi vocali nella sezione denominata ‘Concerto’ che è anche l’unica a riportare il titolo ipotizzato, ma non la prima nella presunta disposizione formale schizzata dall’autore su uno dei fogli iniziali. Tale disposizione prevedeva una serie di pannelli strumentali (Sestetto I, Solo, Sestetto II, Duo) seguiti dal ‘Concerto’ in sei parti. Non è chiaro se questa sequenza volesse essere piuttosto un programma di lavoro, il quale – da appunti riguardanti le scelte testuali – doveva procedere a tappe forzate (in vista di un0esecuzione/consegna?) negli ultimi mesi di un anno non meglio identificato, forse il 1958 o il 1959, molto improbabilmente il 1960. Gli episodi vocali, secondo gli appunti riguardanti i testi, dovevano coincidere con la Seconda/Sesta (stesso testo), Terza e Quarta parte, tutti su testi di Leopardi. Le pagine di partitura conservatesi del ‘Concerto’ vocale riguardano alcune fasi della Terza parte (Storia del Genere Umano), anche se alcuni righi del testo non sono stati musicati o la musica che li intonava è perduta. Non sembrano esserci perdite per i brani strumentali, che tuttavia sono incompleti almeno nel Duo. Se la scelta dei testi rinvia di nuovo al Petrassi del Coro dei morti, l’organico si avvicina invece ai lavori del periodo di Stravinskij, in particolare a Threni che Guaccero potrebbe aver ascoltato (forse dal vivo) alla première della Biennale di Venezia (settembre 1958). Originali e personali sono le indicazioni per la disposizione nello spazio del palcoscenico di strumenti e voci, in parte de-strutturata rispetto alla ordinaria disposizione per masse timbriche omogenee (in particolare, gli elementi di ciascun quartetto strumentale sono dislocati in modo da formare figure geometriche nello spazio e da immergersi nelle voci, a loro volta sparpagliate a raggiera su tutto il palco, favorendo fenomeni complementari di frammentazione o fusione timbrica), e soprattutto la scrittura strumentale, che di quella de-strutturazione (rispetto alla pervasiva micro-cellularità dei Due tempi, o al congelamento temporale del Secondo quartetto) è più causa che conseguenza. Le risultanze tecnico-compositive dei brani precedenti non sono del tutto abbandonate, ma si colgono evoluzioni (nella libertà timbrica e texturale) che mirano fin verso ‘…un iter segnato’ e ‘Iter inverso’.

 

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